Teseo e Arianna

Étienne-Jules Ramey,  Teseo ed il Minotauro (1826),  Giardino delle Tuileries,  Parigi (Francia)MITO DI TESEO e ARIANNA, MINOSSE e IL MINOTAURO

 In un'epoca molto lontana della quale quasi si è persa la memoria, si racconta che mentre Europa, figlia di Fenice(1)  e di Telefassa era intenta a giocare con le sue ancelle le apparve un torello candido come la neve che altri non era che  Zeus.  Questo, dopo averla fatta montare sulla sua groppa, la portò a Creta dove si unì a lei e poco dopo da questa unione nacquero  Minosse, Radamanto e Sarpedone.  

Quando Zeus lascià Europa, quest'ultima sposò Asterione, re di Creta e poichè le loro nozze si rivelarono sterili, Asterione adottò i tre figli di Europa e li nominò suoi eredi legittimi. Alla morte di Asterione, Minosse rivendicò per se il trono di Creta dichiarando che quello era il volere degli dei e per essere certo di riuscire nell'impresa, pregò Poseidone di fare uscire qualcosa dalle acque del mare con la promessa di offrirlo poi in sacrificio al dio a testimonianza del volere degli dei.

Poseidone accolse le preghiere di Minosse e fece uscire dalle onde del mare un magnifico toro bianco che valse a Minosse il regno di Creta. Quest'ultimo però, tanta era la bellezza del toro, non ebbe coraggio ad ucciderlo ed in sua vece sacrificò un altro toro.

Il re del mare, offeso per l'affronto subito, si vendicò in modo tanto crudele da restare come monito per le generazioni future: fece nascere in Pasifae, moglie di Minosse, una passione morbosa per il toro bianco tanto che, non sapendo come fare per accoppiarsi con lui, confidò la sua insana passione a Dedalo, il più famoso architetto ateniese in esilio a Creta, che per lei costruì una vacca di legno montata su quattro ruote dove la donna poteva introdursi per poter soddisfare il suo desiderio. E così fu. Dall'unione di Pasifae ed il toro nacque il Minotauro, una creatura dal corpo di uomo e la testa di toro che si nutriva solo di carne umana.

 In questo modo il dio del mare volle per sempre ricordare a Minosse quanto folle sia l'azione di un uomo che si ribella al potere degli dei.

Minosse, quando vide la creatura, diede incarico a Dedalo di costruire un labirinto talmente intricato dal quale nessuno sarebbe potuto uscire per rinchiudervi il Minotauro, in modo che non avesse alcuna possibilità di fuga. Dedalo, nella speranza di guadagnarsi la fiducia del sovrano, costruì quello che è noto alla storia come il labirinto di Cnosso.

Vuole così la leggenda che il Minotauro venisse rinchiuso nel labirinto e che ogni anno sette giovani e sette fanciulle ateniesi (che erano stati vinti dal re di Creta) venissero sacrificati al Minotauro per saziare la sua fame di carne umana.

Per due volte fu ripetuto il sacrificio fino a quando, alla terza spedizione, giunse a Creta Teseo, figlio di Etra ed Egeo, sovrano di Atene, che si finse parte del gruppo dei sacrificandi perchè voleva porre fine a quelle morti. L'impresa era molto difficile non solo perchè doveva uccidere il Minotauro, ma perchè una volta entrato nel labirinto, era impossibile uscirne. Il giovane chiese allora aiuto ad Arianna figlia di Minosse e sorellastra del Minotauro, alla quale dichiarò il suo amore  e questa a sua volta, innamoratasi perdutamente di Teseo, si consigliò con Dedalo che gli suggerì di legare all'ingresso del labirinto un filo che sarebbe stato dipanato mano mano che si procedeva. In questo modo sulla via del ritorno, riavvolgendolo, si sarebbe trovata l'uscita.

Quando fu il turno di Teseo di essere sacrificato al Minotauro questi dipanò il filo  lungo la strada e quando giunse al cospetto del mostro lo uccise e riavvolgendo il filo, riuscì ad uscire dal labirinto.

Finì così l'orrendo sacrificio che era stato imposto da Minosse agli ateniesi e contemporaneamente Teseo ed Arianna fuggivano insieme da Creta ed approdarono all'odierna Nasso (allora Dia).

La mattina quando Arianna si svegliò si accorse però che Teseo l'aveva abbandonata.
Sul perchè Teseo abbandonò Arianna esistono diversi racconti. Alcuni affermano che fu a causa di una nuova amante, Egle figlia di Panopeo; altri affermano che decise di abbandonarla in quanto tornare ad Atene con lei sarebbe stato uno scandalo; altri affermano che Dioniso, apparso in sogno a Teseo, gli ordinò di abbandonarla perchè la voleva per se.  Quale che fosse il motivo è certo che al suo risveglio Arianna cercò disperatamente il suo amato e pianse lacrime amare quando si rese conto di essere sola. Visto il pianto straziante della fanciulla che urlava di dolore, arrivò in suo soccorso Dioniso che la sposò e gli donò una bellissima corona d'oro, tempestata di rubini, forgiata da Efesto che venne alla sua morte mutata in costellazione: la costellazione di Arianna. Dioniso ed Arianna ebbero numerosi figli tra i quali Toante, Enopione.

Teseo, dopo l'abbandono di Arianna fece ritorno in patria ad Atene dove, dopo breve tempo, divenne re al posto del padre e governò con saggezza ed il suo popolo conobbe un lungo periodo di pace e prosperità.

Note:
(1) Secondo altri studiosi posteriori ad Omero di Agenore, re dei Fenici e di Telefassa.

 

Eracle e Acheloo

Eracle che combatte con Acheloo serpente, Museo del Louvre, Parigi (Francia)MITO DI ACHELOO E DI COME ERACLE CONQUISTO' DEIANIRA

Presso la casa di Eneo, re di Calidone e di sua moglie Altea, sorella di Meleagro e Tideo, si erano riuniti numerosi pretendenti alla mano della loro figlia Deianira. Tra di essi era presente anche Acheloo figlio di Oceano e Teti (o secondo altri di Urano e Gea), divinità fluviale dell'Etolia che aveva la facoltà di assumere qualunque aspetto.

Mentre tutti i pretendenti erano riuniti in una grande sala, all'improvviso fece il suo ingresso Eracle (Ercole nella mitologia latina) ornato con la pelle del leone che aveva ucciso nella pianura di Nemea. Alla sua presenza tutti i pretendenti di Deianira, nonostante fossero uomini abili e valorosi nell'arte della guerra, si ritirarono tranne Acheloo che rimase a contendere con Eracle la mano della fanciulla.

Eracle, per convincere Deianira ad accettarlo come sposo iniziò a declamare nel sue origini divine dicendo che sarebbe diventato nuora di Zeus. Per contro Acheloo ribatteva che era il dio di un grande fiume e che non era odiato da nessuno al contrario di Eracle che era perseguitato da Era, la sposa di Zeus. A quel punto Eracle disse che meglio delle parole, contavano i fatti per cui sfidò Acheloo a duello.

I due rivali si disposero nell'arena ed inziarono a scrutarsi. Il primo a muoversi fu Eracle che presa una manciata di sabbia da terra la gettò sul viso di Acheloo. Questi per poco non rimase accecato ma subito si riprese e si scagliò contro Eracle. A lungo i due contendenti combattevano avvinghiati l'uno all'altro e senza esclusione di colpi. Alla fine però Eracle riuscì a svincolarsi e a montare sulle spalle di Acheloo immobilizzandolo.  Acheloo era sul punto di soccombere quando si trasformò in un gigantesco serpente.

La vista del serpente avrebbe fatto inorridire chiunque ma non Eracle che invece si mise a ridere mentre ricordava ad Acheloo che ancora in fasce aveva ucciso i due serpenti che Era gli aveva inviato per ucciderlo. A quel punto Ercole stringe forte con una sola mano  la testa del serpente e stava per soffocare Acheloo che prontamente si trasformò in un enorme toro.

Eracle, per nulla intimorito a quella vista, lo afferrò per le corna e lo scaraventò a terra con talmente tanta forza che si spezzò una delle due corna ed in questo modo Acheloo fu mutilato per sempre.

A quel punto per sfuggire ad Eracle, Acheloo si gettò nel fiume Toante che da allora prese il suo nome (in greco moderno è Aspropòtamo, il secondo fiume per lunghezza della Grecia) e da quell'episodio Acheloo venne rappresentato con il corpo di un toro e la testa di un uomo barbuto o con il corpo umano e la testa di un toro ma sempre con un solo corno.
 Una delle interpretazioni che si danno a questo episodio è che Acheloo non era altro che un fiume dell'Etolia che ricordava un serpente per via del suo percorso sinuoso, che frequentemente straripava in maniera prorompente come la carica di un toro. Quando arrivò Eracle questi arginò il suo corso costringendolo a scorrere in un solo letto (l'allegoria con il corno strappato) portando in questo modo prosperità alle regioni che attraversava.

Scrive Tazio (Tebaide, IV, 153-156 - Trad. C. Bentivoglio):
" (...) e l'Acheloo scornato, e che non osa
erger la fronte offesa, e mesto giace
ne l'umide caverne, e le sue sponde
restano asciutte e squallide d'arena."

Le ninfe, raccolto il corno di Acheloo lo riempirono di fiori e di frutti consacrandolo alla dea dell'Abbondanza e da qui nacque la leggenda della Cornucopia.
Acheloo fu così vinto ed Ercole sposò Deianira, la più dolce tra le fanciulle mortali.

I miti

Le origini del mito
Questa parola ha un’origine lontana: deriva dal greco antico, una lingua che oggi nessuno parla più. Secondo Platone, un grande filosofo greco vissuto fra il V e il IV secolo a.C., straordinario narratore di storie, un mythos era un racconto che parlava di dèi, di creature divine, di eroi straordinari che combattono mostri, scendono nel regno dei morti, ne ritornano vincitori... Insomma, si trattava di racconti piuttosto fantasiosi... Altri studiosi greci notavano che il mythos era ben diverso dal logos: quest’ultimo era un discorso logico e razionale, degno di un filosofo serio e affidabile; ai miti, al massimo, potevano dedicarsi i poeti!
Ecco che cosa erano per i Greci i miti: storie di eroi invincibili, di imprese impossibili, di divinità potenti e di eventi straordinari il cui ricordo sarebbe rimasto per sempre nella memoria dell’umanità. Noi abbiamo ereditato da loro questa parola e anche il suo significato.

Come sono nati i miti, e perché?
Pensate a un’epoca lontana, migliaia di anni fa... Immaginate gli esseri umani terrorizzati dal bagliore di un fulmine o stupiti dalla bellezza dell’alba, spaventati durante una battuta di caccia o scossi dalla forza dell’amore che si accendeva nei loro cuori... Insomma, davanti alle mille meraviglie del mondo e alle emozioni della vita quei nostri lontani antenati non sapevano ancora dare una spiegazione razionale e logica e perciò cercarono le loro risposte facendo uso della fantasia: così nacquero i miti.
Grazie a essi era possibile risolvere gli enigmi che riguardavano l’origine del mondo e dell’uomo e anche la sua storia: come erano nate le sue città, da dove venivano le sue tradizioni. Tutto questo era molto importante, perché permetteva agli uomini di riconoscere il proprio passato, nobile e pieno di gloria, di cui essere fieri. Ecco perché i miti venivano insegnati ai ragazzi, affinché crescessero con gli stessi valori dei grandi eroi del passato e sentissero di fare parte di un popolo.

 

Dedalo e Icaro

Jacob Peter Gowy, da bozzetto di P. P. Rubens, La caduta di Icaro (1636-1638), olio su tela, Madrid (Spagna), Museo del PradoDedalo, figlio di Eupalamo (o di Eufemio o secondo altri di Mezione), era un uomo dall'ingegno straordinario tanto che si racconta che fosse stato allievo del dio Ermes o secondo altri della dea Atena. Godeva di una fama straordinaria in tutto il mondo conosciuto grazie alle sue abilità di architetto, scultore ed inventore.

Abitava ad Atene, dove aveva un avviato laboratorio. Molti apprendisti lavoravano con lui e tra questi c'era anche suo nipote Acale (noto anche come Talo o Perdice), figlio della sorella. Acale, dimostrava una incredibile abilità già  a soli dodici anni ed era così geniale che un giorno mentre era sulla spiaggia con i suoi compagni notò una lisca di pesce (secondo altri la mascella di un serpente) che gli diede l'idea per costruire una sega con il ferro. Furono sue l'invenzione del compasso per disegnare i cerchi; la ruota da vasaio ed altre tanto che Dedalo, preoccupato dal fatto che il nipote stesse oscurando la sua fama, decise di ucciderlo.
    

Una mattina si recò con Acale sull'Acropoli, sul tetto del Tempio di Atena e lo spinse giù.

La dea Atena, vista la scena, impietosita per Acale decise di sostenerlo in aria e lo trasformò in pernice da cui gli derivò il nome di Perdice.

Così Ovidio narra nelle Metamorfosi, VIII, 236-259: "Mentre Dedalo riponeva nella tomba il corpo dello sventurato Icaro, una loquace pernice, nascosta tra la sterpaglia fronzuta, lo scorse, e si rallegrò allo spettacolo sbattendo le ali e manifestando la sua allegrezza col canto.
Questo uccello, mai visto prima di allora, era divenuto tale da poco, perpetuo rimprovero per te, Dedalo.
La sorella infatti, ignara del destino, aveva affidato a costui, perchè lo istruisse, il proprio figlio (Acale), fanciullo di soli dodici anni, ma ben disposto ad apprendere.
Avendo osservato come erano disposte le spine nel dorso dei pesci, ne trasse il modello per incidere sul ferro affilato denti taglienti, inventando così la sega. (...) Dedalo spinto dall'invidia lo precipitò dalla rocca sacra a Minerva, fingendo una disgrazia. Ma Pallade, protettrice delle arti, ricoprendolo di penne durante la caduta lo sostenne e lo mutò in uccello,. Conservò ancora il suo nome, ma la vigoria del suo ingegno, un tempo pronto, passò nelle ali e nelle zampe.
Questo uccello non può infatti librare in alto il proprio corpo nè fare il nido tra i rami o su cime elevate; svolazza terra terra, deponendo le uova nelle siepi, e , memore dell'antica caduta, teme i voli troppo alti."

Dedalo tentò di far credere che Acate fosse caduto accidentalmente ma non fu creduto. Seguì un lungo processo ed alla fine, considerata la sua fama, fu condannato all'esilio.

Si recò così a Creta, e si presentò al re Minosse, offrendogli i suoi servizi. Il re fu lieto di ospitarlo e iniziò ad affidargli diversi incarichi.

In quel periodo Poseidone aveva inviato al re Minosse un toro bianco di incredibile bellezza affinchè gli fosse sacrificato questo perchè Minosse aveva pregato il dio del mare di inviargli un segno della predilezione che aveva nei suoi confronti rispetto ai suoi fratelli che volevano regnare con lui su Creta.  Poseidone, esaudì la sua richiesta ma Minosse, colpito dalla bellezza del toro, non ebbe cuore di ucciderlo ed in sua vece fece uccidere un altro toro. Poseidone, irato dall'affronto subito, fece innamorare follemente Pasifae, moglie di Minosse, del toro bianco. La donna, in preda all'amore più cieco, si rivolse a Dedalo affinchè le costruisse una vacca di legno nella quale potersi nascondere per avere il tanto desiderato amplesso. Dedalo, costruì una vacca tanto somigliante che il toro venne tratto in inganno e si unì a Persifae che si era nascosta all'interno della vacca.

Da questa unione nacque il Minotauro, essere con la testa di toro ed il corpo di uomo. Re Minosse, spaventato ed innorridito da quel bambino dall'aspetto tanto mostruoso, ordinò a Dedalo di costruire un labirinto tanto complesso, in modo che chi vi entrasse, non riuscisse più a ritrovare l'uscita ed al suo interno imprigionò il Minotauro.

Poichè il Minotauro si cibava di carne umana, Minosse gli forniva periodicamente schiavi e fanciulli ateniesi (che la stessa città gli forniva come tributo in seguito ad una disfatta).

In quel tempo arrivò a Creta l'eroe Teseo per combattere il Minotauro. Arianna, figlia del re Minosse e di Parsifae si innamorò del giovane e decise si aiutarlo nell'impresa chiedendo a Dedalo di indicarle un modo per uscire dal labirinto. Dedalo le fornì allora un gomitolo di lana che doveva essere svolto mano mano che ci si addentrava nel labirinto. Teseo quindi entrò, uccise il Minotauro e riuscì ad uscirne grazie al gomitolo. Una volta fuori dal labirinto, fuggì con Arianna che poi abbandonò nell'isola di Nasso.
    
Quando Minosse scoprì che Teseo era riuscito nella sua impresa grazie all'aiuto di Dedalo, imprigionò nel labirinto lo stesso Dedalo assieme a suo figlio Icaro (1) che aveva avuto da Naucrate, una delle schiave di Minosse. Dedalo, dapprima si disperò ma dopo poco tempo ebbe un'idea geniale: costruire due paia di ali per fuggire via dal labirinto. Iniziò così ad intrecciare delle penne saldando le più piccole con della cera.

Prima di decollare, Dedalo, ordinò a suo figlio di non volare nè troppo alto in quanto il calore del sole avrebbe sciolto la cera che teneva insieme gli intrecci, nè troppo basso in quanto le onde del mare potevano bagnare le ali appesantendole. Ma Icaro, una volta in volo, preso dall'ebbrezza per questa straordinaria esperienza non tenne conto dei consigli paterni e volò così in alto che la cera si sciolse e precitò in mare. Dedalo accortosi che il figlio non lo seguiva, ritornò indietro e l'unica cosa che vide furono delle piume che galleggiavano. Recuperato il corpo del figlio, Dedalo lo portò in un'isola vicina che chiamò Icaria, in onore di Icaro.
Così Ovidio narra nelle Metamorfosi, VIII, 183-235 : " (...) Dedalo, annoiato di Creta, e punto dalla nostalgia del luogo natio, non soffrì a lungo la prigionia impostagli,. "Possono precludermi il mare e la terra - disse - ma il cielo è certamente libero: andremo via per di là. Possieda pure Minosse tutto quanto desidera ma non sarà di sicuro padrone dell'aria" Volse allora la mente ad arti fino all'ora sconosciute, e rinnovellò la natura; dispose infatti secondo un dato ordine delle penne, poi, con del filo, fermò le parti di mezzo, fissò quindi con la cera le estremità inferiori e le piegò incurvandole lievemente così da imitare i veri uccelli. (...) Dopo aver dato l'ultimo ritocco al suo lavoro, l'artefice librò il proprio corpo sulle due ali, e restò sospeso nell'aria agitata. Poi istruì il figlio dicendogli: "tieni la via di mezzo o Icaro, ti raccomando; così se andrai basso l'onda appesantirà le penne, se troppo in alto, il sole le brucerà.. Vola tra l'una e l'altra: prendi la strada che io ti mostrerò". (...) E già avevano lasciato sulla sinistra l'isola di Samo, e sorpassate Delo e Paro; a destra era già Lebinto e Calimno feconda di miele.

Allorchè il giovinetto cominciò a godere dell'audace volo e abbandonò la sua guida; attratto dal desiderio del cielo, tenne un cammino più alto. La vicinanza del cielo ardente rammollì la cera profumata che teneva unite le penne, ed egli, battendo le braccia nude, privo di remeggio, non trovava non trovava appiglio che potesse sostenerlo nell'aria.. La sua bocca mentre invocava il nome del padre, fu chiusa dall'azzurro mare che da lui prese il nome ... il padre infelice ormai non più padre, disse: "Icaro" Icaro, dove sei? in quale luogo ti cercherò, Icaro?" Seguitava a chiamare "Icaro" ma quando vide le penne sparse sulle onde maledisse la sua arte. Poi allestì un sepolcro, dal nome dell'estinto, quella terra fu chiamata Icaria. "

Dopo aver seppellito il figlio Dedalo riprese a volare fino a quando decise di fermarsi a Cuma, in Italia, nei pressi di Napoli, dove costruì uno splendido tempio in onore del dio Apollo e ai piedi del quale depose le ali.

Minosse che non si dava pace per la fuga di Dedalo. Aveva allestito una grande flotta con la quale lo cercava ovunque portando con se una conchiglia di Tritone ed un filo promettendo, in ogni luogo dove si fermava, una grossa ricompensa a colui che avesse saputo far passare il filo tra le spire della conchiglia. Minosse sapeva che nessuno sarebbe stato in grado di risolvere il problema, eccetto Dedalo.

Dedalo nel frattempo si era rifugiato a Camico in Sicilia, ospite del re Cocalo.

Minosse arrivato a Camico, propose il dilemma anche a Cocale che chiese aiuto a Dedalo. Dedalo, attaccò il filo ad una formica e la introdusse nella conchiglia al cui capo estremo aveva posto una goccia di miele.  Quando il re portò la conchiglia a Minosse, questi capì subito che l'artefice era Dedalo e pretese dal re che gli fosse consegnato. Ma sia il re che le sue figlie non volevano privarsi della compagnia di Dedalo perchè allietava le loro giornate costruendo incredibili balocchi. Fu così allora che mentre Minosse si faceva il bagno, le giovani principesse versarono acqua bollente nella vasca, uccidendolo. Esse poi giustificarono la sua morte attribuendola alla sua distrazione, dicendo che era caduto accidentalmente in una vasca di acqua bollente (2).

Il cadavere di Minosse fu quindi restituito ai cretesi dicendo che il re inciampando in un tappeto, era caduto in un calderone di acqua bollente. La leggenda vuole che Minosse per la sua integrità morale e la sua rettitudine fu assunto da Zeus come giudice supremo dell'Ade assieme al suo nemico Eaco e suo fratello Radamanto.

Dante nell'Inferno (V, 5-15) lo rappresenta in questo modo:

"Stavvi Minos, orribilmente, e ringhia,
Esamina le colpe nell'entrata,
Giudica e manda , secondo ch'avvinghia.
Dico che quando l'anima mal nata
Gli vien dinanzi, tutta si confessa;
E quel conoscitor delle peccata
Vede qual loco d'Inferno è da essa;
Cignesi con la coda tante volte,
Quantunque gradi vuol che giù sia messa.
Sempre, dinanzi a lui, ne stanno molte;
Vanno a vicenda ciascuna al giudizio;
Dicono e odono e poi son giù volte."
    
Dedalo visse ancora diversi anni in Sicilia che la lasciò per unirsi a Iolao (3), nipote di Eracle, in Sardegna (Italia) dove continuò la sua professione. Le molte delle opere che contribuì a costruire furono chiamate costruzioni dedaliche o dedalea(4).

Note:
(1) Secondo altri perchè aveva scoperto che aveva aiutato la moglie Pasifae ad accoppiarsi con il toro bianco.
(2) Un'altra versione vuole invece che fu Dedalo a passare un tubo sul tetto della stanza da bagno versandoci dentro dell'acqua bollente o della pece.
(3) Figlio di Ificle (fratellastro di Eracle) Iolao era nipote di Eracle. Aiutò lo zio nella lotta contro l'Idra di Lerna, fornendogli i tronchi infiammati con cui bruciare i colli del mostro affinchè non rinascesse la testa. Secondo alcuni partecipò anche alla spedizione degli argonauti ed alla caccia del cinghiale Calidonio. Dopo la morte di Eracle, si alleò con Teseo nella lotta contro Euristeo poi migrò in Sardegna dove morì.
(4) Come ci hanno tramandato Pausania storico, geografo ed erudito greco di metà del II sec. d.C. e Diodoro Siculo, storico greco di  circa il 90 a.C.

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