Eos (Aurora)

Eos (Aurora)EOS: è la personificazione dell'Aurora, figlia dei Titani Iperione e Teia e sorella di Elio e di Selene.
Al termine di ogni notte, Eos dalle "rosee dita" si alza dal suo giaciglio a oriente, sale sul cocchio tirato dai cavalli Lampo e Fetonte e corre verso l'Olimpo, dove annuncia l'approssimarsi di suo fratello Elio. Quando Elio appare, Eos diventa Emera e lo accompagna nei suoi viaggi finché, trasformatasi in Espera, ne annuncia il felice arrivo sulle spiagge occidentali dell'Oceano.
Afrodite si irritò un giorno trovando Ares nel letto di Eos, e condannò costei ad ardere di desiderio per i giovani mortali; subito Eos cominciò segretamente a sedurli: dapprima Orione, figlio di Poseidone, ch'ella rapì e portò nell'isola sacra di Delo (l'aurora arrossisce ogni giorno al ricordo di quella profanazione); poi Cefalo, figlio di Deione, anch'esso rapito da Eos e portato in Siria, dove gli diede un figlio, Fetonte; poi Clito, nipote di Melampo. Eos era tuttavia maritata al titano Astreo, cui essa generò i venti Borea, Zefiro, Euro e Noto, e che abbandonò quando egli fu rinchiuso nel Tartaro con gli altri titani ribellatisi a Zeus. Eos rapì infine Ganimede e Titono.
Il mito più importante di Eos è quello del suo amore per Titono, bello come un dio, figlio di Laomedonte, re di Troia, al quale Eos generò due figli, Emazione e Memnone. Quest'ultimo regnò sugli Etiopi e morì davanti a Troia combattendo contro Achille. L'Aurora ottenne da Zeus l'immortalità per suo figlio, e volò via per raccogliere il cadavere e trasportarlo in Etiopia. L'Aurora ancor oggi piange il figlio ogni mattina con lacrime di rugiada.
Quando Zeus le sottrasse Ganimede, essa lo supplicò di rendere Titono immortale e Zeus acconsentì. Ma Eos si dimenticò di chiedere per lui anche il dono della perpetua giovinezza, che Selene già aveva ottenuto per Endimione; e Titono cominciò a invecchiare finché le membra gli si disseccarono e la voce quasi svanì. Non potendo più sopportare la vista della sua decadenza fisica, Eos lo chiuse in una stanza da cui più non potè uscire e dove a poco a poco si trasformò in cicala.